acquisti di coniugi stranieri in Italia e regime patrimoniale applicabile


 

Not. Luigi Grassobiondi, espone:

 

Si tratta di individuare il regime applicabile per i coniugi stranieri residenti in Italia,

 

Nel caso, regime applicabile per i coniugi pakistani sembrerebbe quello della separazione dei beni.

L'Ambasciata del Pakistan in Roma conferma: unica legge attualmente vigente nel Pakistan è la legge islamica, in base alla quale il regime patrimoniale legale fra i coniugi è quello della separazione dei beni; a seguito del matrimonio la donna entra sotto la potestà del marito ed avrebbe una limitata capacità non solo d'agire, ma anche giuridica; è possibile scegliere il regime di comunione dei beni unicamente con  dichiarazione unilaterale del marito; infine, il Pakistan non ha attualmente alcuna legge organica che regoli il diritto privato internazionale e non vi sarebbe
alcuna legge che sottoponga ad una legislazione straniera il regime patrimoniale dei coniugi pakistani.

Anche qualora in base ad una legge pakistana vi fosse un ritorno indietro ex art. 13, L. 218/1995 alla legge italiana sostanziale, questa
dovrebbe regolare unicamente i rapporti patrimoniali fra i coniugi pakistani in Italia, ma non modificare il regime patrimoniale da loro scelto in base alla loro legge nazionale.

 

Quindi, se sono in separazione dei beni senza convenzione per la comunione dei beni, per le loro operazioni in Italia si applicherà il
regime italiano della separazione dei beni, e non quello pakistano che potrebbe, e senz'altro sarà, diverso.

 

Mi sembrerebbe, infatti, contrario ai principi dell'ermeneutica costringerli, ope legis, ad un diverso regime patrimoniale che, oltretutto, varrebbe solo in Italia.

 

A questo punto un pakistano che avesse beni in diversi paesi potrebbe trovarsi in numerosissimi regimi patrimoniali, da lui non voluti.

Al di là della soluzione che si può dare al caso concreto, mi sembra che, comunque, sia confermata l'estrema difficoltà di qualificare esattamente situazioni giuridiche regolate da ordinamenti molto diversi dal nostro; mi chiedo, dunque: fino a che punto è dovere del notaio tentare di dare queste qualificazioni, posto che non abbiamo il potere di farlo (non siamo dei giudici)?

 


 

not. Maria Benedetta Pancera, risponde:

 

Ipotizziamo che due coniugi stranieri, aventi legge nazionale comune, in base alla quale i loro rapporti patrimoniali siano regolati dal regime della separazione dei beni, risiedano in Italia e vogliano acquistarvi un immobile.

Mi pare che potranno configurarsi le seguenti ipotesi:

a)      applicazione tout court della legge nazionale comune, che non operi alcun rinvio, con conseguente assoggettamento dell'acquisto al regime della separazione dei beni, secondo la propria legge nazionale(artt. 30 e 29, L. 218/1995);

b)      convenzione matrimoniale di scelta dell'applicazione della legge italiana e adozione da parte dei suddetti coniugi, senza che in ciò nulla rilevi la legge nazionale comune di uno dei regimi patrimoniali previsti  dalla stessa legge italiana (art. 30 cit.);

c)      rinvio effettuato dalla legge nazionale comune alla lex rei sitae, cioè alla legge italiana, che com'è noto accetta il rinvio indietro (art. 13, c. 1, lett. b, L. cit.).


I coniugi stranieri, in tale ultimo caso, verranno a trovarsi in una condizione non differente da quella prevista per i cittadini italiani: in mancanza di apposita convenzione di separazione, si applicherà il regime della comunione legale come ritengo esattamente affermato dalla collega Panbianco.


Il nostro ordinamento conosce un solo regime legale e necessario dei rapporti patrimoniali tra coniugi e ne ammette altri facoltativi, che sono pertanto leciti ma non legali, non avendo la loro fonte immediata e diretta nella legge.


Non si vede, d’altronde, in virtù di quale principio positivo l'ordinamento italiano dovrebbe adeguarsi al regime internamente disposto dall'ordinamento straniero rinviante che, proprio nell'atto di eseguire il rinvio, afferma il suo disinteresse per l'applicazione della propria normativa a determinati rapporti instaurati da propri cittadini all'estero,
in presenza di una particolare circostanza di estraneità (quale il locum rei sitae).


Il rinvio espande e non limita la potenzialità regolatrice dell'ordinamento richiamato e non può convertirsi in una qualsiasi recezione che invece costituisce il suo esatto contrario: con l'uno si ha espansione, con l'altra compressione normativa.

Altro concetto da chiarire mi sembra quello di qualificazione.


Non mi pare il caso di ripetere cose a tutti note in tema di rapporti  logico-conoscitivi tra astratta fattispecie legale e concreta situazione di fatto da regolare (con sentenza, con atto amministrativo, con atto notarile, con atto privato), mediante individuazione delle norme applicabili.

 

E basti in proposito un riverentissimo richiamo alla sublime dottrina bettiana.